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L’utilizzo sbagliato di “piuttosto”

La lingua italiana è una lingua difficile, ok. Ci sono tante regole e tante eccezioni e anche nelle più preparate e letterate menti posso sorgere quotidiani e umani dubbi. Ma ci sono dei modi di dire o dei significati attribuiti ad alcune parole che si diffondono nella lingua parlata ma anche, purtroppo, in quella scritta, costituendo errori come trappole in cui cadono anche coloro che con le parole ci lavorano.
Uno di questi errori più comuni, e sempre più frequenti, riguarda l’utilizzo dell’avverbio piuttosto.
Io proprio non so come sia nata questa moda ingiustificata di utilizzarlo come sinonimo di oppure. Ebbene, sappiate e ricordate che NON vuol dire oppure quindi non vi nascondete dietro un “ma come? L’ha detto quel giornalista in televisione? E anche quel famoso conduttore? O, ancora, l’ho letto sul giornale”. Non seguite personaggi, conduttori televisivi e pubblicitari che fanno finta di essere dotti e preparati e invece sono soltanto, come li chiamerebbe Sgarbi, delle capre (senza offesa ai poveri animali che, invece, belano bene).
Esempio: “Amo la lingua inglese piuttosto che la lingua francese” non vuol dire che le amo entrambe, quella lingua o quell’altra allo stesso modo. Vuol dire che amo l’inglese, non il francese! Capite bene che questo giochino, se non usato correttamente, oltre che essere sbagliato, può creare fraintendimenti.
La cosa strana è che questa moda si sia fatta viva proprio nei ceti più alti della nostra società. Originaria, tra l’altro, di una forma parlata del nord Italia, questa orrenda abitudine ha invaso ogni angolo del Paese. Per questo ci si fida, si imita il linguaggio dei ceti più alti, pensando di far bene.
Un consiglio, vi prego: non facciamo le capre o le pecore. Cerchiamo di farci venire qualche dubbio e cerchiamo il significato delle parole se qualcosa non ci convince. E non ci fidiamo ciecamente di quello che sentiamo solo perché “l’ha detto la televisione”.
Oppure, se non vogliamo fare di questi errori, possiamo affidarci al nostro ghostwriter che di certo, di questi errori non ne farà.

(treccani) piuttòsto avv. [comp. di più e dell’avv. tosto]. – 1. Nel sign. proprio, etimologico, più presto; in tale accezione, ormai fuori d’uso, si scrive preferibilmente in grafia staccata: il fuoco di sua natura più tosto nelle leggieri e morbide cose s’apprende, che nelle dure e più gravanti (Boccaccio). Da qui, nel linguaggio corrente, più facilmente, più spesso, più volentieri; serve a indicare che qualche cosa avviene o si sceglie a preferenza di altra dello stesso genere: in questa regione piove p. d’estate che d’inverno; non prendo la carne, vorrei p. del pesce; voglio p. essere infelice che piccolo, e soffrire p. che annoiarmi (Leopardi). Introduce spesso una comparazione tra due parti uguali del discorso (due aggettivi, due verbi, ecc.): sono zone in cui fa p. caldo che freddo; lo direi sfacciato p. che disinvolto; chiederebbe l’elemosina p. che rivolgersi a lui per aiuto; e in frasi ellittiche: non ci arrenderemo: p. morire; chiedergli scusa? mi farei p. licenziare. Preceduto da o equivale a «o meglio» e serve a introdurre un’ipotesi più probabile, un’espressione più propria a confronto di altra già espressa: verrà, o p. manderà qualcuno a rappresentarlo; dalla parte dalla quale io ti favello, è notte, come tu vedi, o p. non vedi (Leopardi). 2. Frequente, senza un secondo termine di paragone, nel sign. di «alquanto», «abbastanza»: fa p. freddo questa mattina; è un film p. interessante; una ragazza p. graziosa; spesso come espressione attenuata di giudizio spiacevole: l’esame è andato p. male; è stato p. maleducato con me; mi ha trattato p. male. 3. Improprio l’uso di piuttosto seguito da che con il sign. di «o», «oppure», per indicare un’alternativa.

 

Donatella Briganti (ghostwriter e giornalista)

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